Ho passato un’esperienza bellissima, non sono state vacanze, ma impegno, responsabilità e fatica.
Sì, è stato molto faticoso, ci sono andato in veste di barelliere, cioè colui che si occupa delle persone disabili e di qualsiasi altra cosa servisse.
Portavamo una giacca di riconoscimento per facilitare le persone a riconoscerci quando avevano bisogno.
Ho dormito pochissimo: nei primi tre giorni solo tre ore e mezzo in tutto! In albergo sono andato a dormire solo due volte, dividevo la stanza con Riccardo, con il quale era difficile vedersi anche perché i suoi impegni erano diversi dai miei, e così sfruttavamo l’ora di pranzo per mangiare insieme e per parlare un po’ di noi.
Abbiamo scaricato il treno di 14 vagoni di tutto ciò che conteneva: valigie, persone disabili e tutto il necessario per rendere efficiente questo ospedale dove stavamo.
Lo abbiamo trasportato con carrelli e caricato un po’ alla volta per portarlo in questo ospedale e le valigie negli alberghi dove si pernottava; così abbiamo fatto all’inverso il giorno della partenza, ed è stato veramente faticoso.
Lì in ospedale eravamo distribuiti un po’ per piano (parlo dei barellieri e delle sorelle, che anche loro insieme a noi si occupavano di queste persone), quindi avevamo dei turni di lavoro, del primo e del secondo gruppo.
I primi giorni mi sentivo un po’ a disagio, non sapevo cosa fare, poi un po’ chiedendo e un po’ con l’aiuto di persone con più esperienza ho capito meglio cosa dovevo fare, dedicarsi con tutte le forze a queste persone, come vestirli, lavarli, portarli a mangiare, portarli ai vari momenti, come messe alla Grotta, via Crucis, fiaccolate, ecc.
Il tempo ci ha concesso solo due giorni di sole, gli altri sono stati di pioggia, mettevamo delle mantelline a loro e noi si prendeva un po’ d’acqua.
Ho fatto cose mai pensate, come quello che mi è capitato con Carlo, un dottore ridotto fisicamente uno straccio, aveva la sclerosi multipla ma ragionava benissimo. Dicevo purtroppo per via delle condizioni fisiche si faceva la pipì a letto e così lo si doveva spogliare e portare in bagno e ciò già non era facile, poi lo si doveva anche lavare e non nascondo che mi sono guardato intorno a scegliermi qualcosa da fare più facile, ma poi ho pensato che noi eravamo là per loro e ripensavo anche a ciò che p. Matteo ci dice sempre, di fare bene la responsabilità, tutta e fino in fondo e con amore, così mi sono messo i guanti, ho preso una spugna e l’ho lavato.
Una cosa che posso dire di loro è che non chiedevano niente e non si lamentavano.
Noi eravamo la loro animazione nel tempo libero.
Un giorno, credo il terzo o il quarto, avevo il pomeriggio libero (dovevo tornare alle 8 per fare la notte) e mi sono detto: ora vado all’albergo, mi faccio una dormita e una doccia. Volevo stare un po’ a riposo.
Poi ho pensato che fosse tempo sprecato dormire, così sono tornato all’ospedale a dare una mano a chi ne avesse bisogno.
Poi il bello era che all’ultimo anche tra di noi barellieri non c’era più chi attaccava e chi staccava, stavamo sempre tutti là a disposizione.
Un giorno che c’era sole era un pomeriggio senza impegni così ho portato Elisa a fare un bagno alle vasche vicino alla Grotta (a Elisa mancava una gamba), poi insieme a lei sono stato in giro tutto il pomeriggio sia dentro la zona sacra sia fuori per strada, ed era anche pesante e io ero stanco, ma una cosa la sapevo di certo: che se la riportavo all’ospedale sarebbe stata ferma nell’androne tutto il pomeriggio aspettando l’ora di cena.
Lei mi diceva di riposarmi, ma se mi fermavo era la fine, non sarei più ripartito, così siamo stati in giro con la carrozzina 3 ore e mezzo e la cosa che poi mi ha fatto sentire bene erano le parole che mi diceva la sera: “Grazie figlio mio, oggi mi hai fatto divertire, sono stata davvero bene”.
Ho conosciuto Nadia, 52 anni, lei voleva che fossi sempre io a spingere la sua carrozzina perché con me si faceva un sacco di risate, le facevo mettere la freccia con la mano e sorpassavo le altre carrozzine e lei rideva, era contenta.
Ho chiesto il suo numero di telefono e se p. Matteo me lo concede sarò contento di farmi rivedere. Continuo a dire che sono stati giorni duri, ma ero contento, la mia fatica la riempivo vedendo che loro si divertivano.
Poi sia all’andata che al ritorno avevo il turno da mezzanotte alle quattro insieme ad altre persone nel mio turno, ma c’è stato chi ha dato per scontato che la notte tutti dormissero, così anche loro sono andati a riposare.
Io invece no, in quel momento era la mia responsabilità che mi era stata affidata nel mio vagone e sono restato in piedi aiutando quattro o cinque persone ad andare in bagno.
Poi ho fatto capire anche agli altri l’importanza di dover restare svegli. Mi hanno fatto un applauso sul treno quando ho espresso in una testimonianza ciò che mi ero vissuto a Lourdes parlando anche di me, e forse è stato proprio questo a fare la differenza.
In tutto è stata una gran bella verifica per me. Stavo benissimo insieme a persone che non conoscevo e fuori dall’Italia, ma ho percepito ancora sfumature di disagio, e se la Comunità fino a oggi mi ha dato tanto, ancora voglio tanto, senza fretta.
La cosa centrale è che io stia bene.
C’erano anche distrazioni, volendo: parlo delle Dame che si occupavano come noi delle persone disabili, ma anche lì abbiamo lavorato insieme, abbiamo parlato di noi, ma non mi sono andato a cercare niente di più, il mio obiettivo era ben chiaro: occuparmi dei malati.
Mi sono sentito la responsabilità che in quel momento avevo: io ero visto come la Comunità in Dialogo, mandato da p. Matteo, così ho fatto le cose con serietà.
Ho pregato per p. Matteo, per gli operatori e anche per noi, perché ci rendiamo conto di avere un problema da non minimizzare e da risolvere.
Il miracolo di Lourdes per me
è stato il messaggio d’amore gratuito
verso chi è in difficoltà,
abbattendo l’egoismo e aiutando il prossimo,
che potremmo essere anche noi.
Paolo