La mia vita si è frantumata, io come tanti altri ho cominciato piano piano così senza un motivo, o meglio non sapevo il perchè. La mia famiglia, affetti, la mia attività lavorativa: in un breve tempo tutto è svanito. Mi sono trovato da solo a vivere una vita di degrado, ho cominciato una brusca discesa sempre più in basso. Ormai per me le sostanze erano tutto.
Arrivò il carcere , tanti altri momenti tristi della mia vita, ed io non avevo la forza di dire basta, anche se capivo che la distruzione era l’ingrediente principale della mia vita “se così la si poteva definire”. Ho perso completamente la dignità. Privo di qualsiasi speranza ho fatto delle brevi esperienze in diverse comunità di recupero, sono andato anche in Francia per stare lontano dalla mia città. Entravo in comunità solo perchè mia sorella ancora credeva nelle mie possibilità; ma molto presto si arrese anche lei.
Un giorno sfinito fisicamente e finito in ospedale entrai direttamente nella comunità “
Nel gennaio del 2001 arrivai a Trivigliano e conobbi p. Matteo, che subito mi ispirò fiducia. Il modo con cui mi parlava e l’amore che mi trasmetteva lo percepii profondamente. Venni accolto così nella Comunità in Dialogo. Da subito mi sono incuriosito nel vedere la vita che pulsava intorno a me, l’entusiasmo dei ragazzi, la semplicità che ho trovato: tutti parlavano di amore e rispetto e, credetemi, non erano solo parole. Io per primo, e per la prima volta, mi sono sentito amato e rispettato, la libertà con la quale potevo esprimermi ed essere ascoltato e finalmente non più giudicato e scartato. Non avevo più paura di parlare degli errori commessi nella mia vita. Capii che il problema non erano gli altri ma io stesso ero il problema. Guardavo i nostri operatori, ragazzi con lo stesso mio vissuto; cambiava qualche particolare nella storia di ognuno, ma la sofferenza era la stessa. Loro comunicavano con i loro atteggiamenti una grande voglia di vivere e un grande entusiasmo. Stavano li con noi, con l’esperienza di chi ha ricominciato a vivere, ed erano pronti ad aiutare noi; sentendo le loro storie era incredibile constatare come fossero cambiati.
Ho cominciato a credere che cambiare è un lavoro duro ma necessario: era l’inizio del percorso che man mano è diventato il percorso della mia vita.
Riprendere in mano la propria vita, dare un senso a qualsiasi cosa facesse parte di essa e trovare un equilibrio: padre Matteo spesso ci parla di povertà umana, ognuno di noi è arrivato in comunità totalmente povero di stimoli, sfiduciato e senza speranza, ed è solo fidandosi e affidandosi alla proposta della comunità che si ritorna a vivere. Con il bagaglio della nostra esperienza distruttiva oggi tutto ha un senso maggiore, niente e nessuno si da più per scontato, perchè siamo diventati protagonisti positivi della nostra vita, grazie a padre Matteo e alla comunità e al fatto che abbiamo riscoperto il valore della vita come dono.
Nel Natale del 2002 ho terminato il mio percorso riabilitativo. Non immaginate la mia felicità: per la prima volta nella mia vita sono riuscito ha portare a termine una cosa, certamente la più importante per la mia persona. Ero di nuovo in società e potevo rientrare nella mia Napoli con il mestiere di frigorista che mi aveva sempre permesso di avere ottimi guadagni, ma il mio cuore era diverso e avevo maturato in me tanta gratitudine e tanto amore per
La mia vita è veramente cambiata; io sono cambiato, e con il consenso di p. Matteo mi sono fermato in comunità e ho continuato il mio cammino.
Il compito che svolgo in comunità è di aiuto operatore. Seguo un gruppo di ragazzi e mi occupo del laboratorio di artigianato dove si impegnano i giovani dell’Accoglienza, che sono appena entrati in Comunità. La mia passione di creare piccoli oggetti è un dono scoperto in Comunità, mai lo avevo fatto prima. Avere la possibilità di esprimere la mia creatività, cercare di scolpire un pezzo di legno o dare una forma ad una pietra è per me rivivere ogni volta la fatica della mia stessa rinascita. A volte penso che in comunità arriviamo proprio come insignificanti pezzi di roccia fredda e senza forma, ma lavorando con impegno e determinazione riusciamo a dare senso e calore agli oggetti, così come pian piano ridiamo forma alla nostra vita. Su questi oggetti è impressa l’impronta di chi disperatamente cerca quel senso e ogni ragazzo ne è testimone. Non sono dei capolavori, ma ognuno di essi è l’espressione concreta di chi si sente protagonista del proprio quotidiano.
Per me innamorarsi della comunità non vuol dire essere dipendente da essa, ma pur avendo la mia vita privata è donarmi nella mia totalità e nella mia umanità ad una esperienza più grande di me di cui oggi posso fare parte. Non faccio più tutto questo solo per me, ma per aiutare chi arriva adesso ed ha diritto di credere che la vita è un dono per tutti, anche per chi ancora non si rende conto di quanto sia bello vivere. Qualcuno ieri lo ha fatto per me, ed oggi mi sento in dovere di dare ciò che mi è stato dato, poter dare un nuovo senso alla vita trasmettendo il MIRACOLO che rappresenta.
Tutto ciò avviene grazie all’amore e alla stima che P. Matteo continua a donarci in ogni momento ed al portare avanti degli impegni con altri amici che come me hanno scelto la stessa strada. Voglio citare una frase che P. Matteo disse già dalla sua ordinazione come sacerdote, quando la comunità non esisteva nemmeno nei suoi progetti: “Amare qualcuno significa dirgli: tu non morirai, amarlo in Cristo è dargli completa resurrezione”.
Nel 2001 anche a me ha detto: “Salvatore tu non morirai”. Voglio ringraziare P. Matteo, la comunità e tanti amici con cui oggi condividiamo le nostre vite per uno scopo molto più importante: che a chiunque arriva oggi anche noi possiamo ripetere la stessa cosa: “NON MORIRAI”.
GRAZIE!